Archivio mostre

Sulla strada dei sogni

ROMA

Mo.C.A. Studio

dal 20 marzo al 2 aprile 2019

Con il patrocinio di: In collaborazione con:

“Lui Minerva, la prole alma di Giove, maggior d’aspetto, e più ricolmo in faccia rese, e più fresco, e de’ capei lucenti, che di giacinto a fior parean sembianti, su gli omeri cader gli feo le anella, e qual se dotto mastro, a cui dell’arte nulla celaro Pallade o Vulcano, sparge all’argento il liquid’oro intorno, Sì che all’ultimo suo giunge con l’opra: Tale ad Ulisse l’Atenèa Minerva, gli omeri e il capo di decoro asperse; ad Ulisse, che poscia, ito in disparte, su la riva sedea del mar canuto, di grazia irradïato e di beltade.” (Odissea libro VI) Il viaggio fotografico d’oriente, calato nella cifra stilistica di Berretta, qui s’intarsia di riferimenti emotivi, come il lavoro del “ dotto mastro, a cui dell’arte nulla celano Pallade o Vulcano”. L’accostamento non appaia forzato, perché l’intarsio dorato che attraversa le foto dell’autore, in questo lavoro, vanno oltre l’estetica e recuperano la manualità degli artigiani orafi, che nella storia simboleggiano una linea di unione tra oriente ed occidente. Il pensiero non può che andare al sapore della scuola di Klimt, coscienti che in questo lavoro l’intarsio è un riferimento costante alla tradizione pittorica trasversale, tra oriente ed occidente Come evocato dal titolo, ci troviamo nel mezzo di un viaggio tra sogni. Sogni che intarsiano, con la memoria, immagini di vita quotidiana. Siamo in un cammino dove le foto assumono la forma dell’epifania: rievocazione di colori che, attraverso il fascino del disvelamento, riecheggiano il respiro dello spirito dei luoghi visitati, all’interno di uno scatto sottratto alla realtà. Un velo colorato, è difatti, quello che copre tenuamente le immagini, svelate poi di colpo da un lampo temporaneo, un volto si staglia dal caos colorato di un presente che diventa sfondo. Apparizioni e frammentazione dei soggetti si susseguono, come appunto avviene nei sogni, poi non solo racconto della materia ma respiro delle emozioni. Perché la materia, qui, nelle mani di Berretta, acquista un suo respiro. Attraverso la manipolazione dei colori l’autore porta le immagini ad impressionarsi sulla superficie di un altro reale, davanti a queste foto abbiamo la facoltà di guardare con altri occhi quelle distese naturali, quei volti d’antica fattura, le divinità fissate nel gesto ieratico. Davanti a queste foto dobbiamo calarci in un modo diverso d’intendere il colore, perché in Giappone i colori s’identificano principalmente in termini di significato e sentimenti a questi collegati (non solo quindi sull’intensità delle ombre o della luce riflessa), “gli aggettivi utilizzati per descrivere i colori, come iki (sofisticato o chic), shibui (misurato, mitigato) o hannari (gaio e allegro) tendono a essere quelli che sottolineano i sentimenti, piuttosto che i valori dei colori confrontati.” Tutto questo Berretta lo ha appreso e ne sfrutta al massimo le potenzialità comunicative. Infine, tornando a questo intarsio che collega la tradizione dell’immagine occidentale a quella orientale, e ribadendo che Berretta, col gesto fotografico e con il “dotto lavoro di un orafo”, non concede nulla al ricordo dell’immagine bloccata, dobbiamo affermare che in questo lavoro si capta anche un sottile e prezioso profumo impressionista. Ce lo suggeriscono i toni e il coagularsi dei soggetti attraverso il pigmento colorato. Un viaggio quindi che, tra le altre impressioni, anima anche un gesto di riscatto, dove la fotografia si riappropria di un anima, troppo spesso delegata al gesto pittorico.

Claudio Romanelli